Il New York Times fa causa a Perplexity per violazione del copyright

Il New York Times fa causa a Perplexity per violazione del copyright: accuse di scraping, repliche testuali e uso non autorizzato dei contenuti del quotidiano.

New York Times: una causa contro Perplexity scuote il mondo dell’AI

Il New York Times ha deciso di passare all’azione legale contro Perplexity AI. La motivazione è chiara e grave: il giornale accusa la startup di sfruttare senza licenza né remunerazione contenuti protetti da copyright per alimentare i suoi strumenti basati sull’intelligenza artificiale (AI), bypassando paywall, ricavando copie quasi identiche di articoli e mettendo in atto una vera e propria appropriazione indebita.

L’antefatto: tentativi di dialogo e un “cessare e desistere” ignorato

La controversia tra New York Times e Perplexity non nasce oggi. Già nell’ottobre 2024, il quotidiano aveva inviato una lettere di “cessare e desistere”, intimando alla startup di cessare immediatamente ogni uso non autorizzato del suo archivio giornalistico. Secondo la lettera, Perplexity aveva tratto vantaggio commerciale senza licenza dai contenuti creati con il lavoro di giornalisti professionisti, ignorando del tutto i diritti di proprietà intellettuale.

Per oltre 18 mesi Il New York Times avrebbe sollecitato una trattativa, chiedendo un accordo formale. Ma, secondo l’accusa, le richieste sarebbero rimaste inevase, costringendo il giornale a ricorrere alla giustizia.

Come Perplexity usava i contenuti del New York Times

Secondo la denuncia depositata presso il tribunale federale del Distretto meridionale di New York, Perplexity avrebbe “crawled” (cioè scansionato il web) per raccogliere articoli anche quelli protetti da paywall del Times, e li avrebbe poi riproposti agli utenti tramite i suoi strumenti basati su RAG (retrieval‑augmented generation), come chatbot o il browser assistito da AI “Comet”. In molti casi quei contenuti sarebbero stati presentati in forma “verbatim o near‑verbatim”: cioè identici o quasi identici agli originali, oppure in forma di riassunti fedeli in pratica, sostitutivi degli articoli originari.

Non solo: la causa segnala che talvolta le risposte generate dall’AI contenevano “allucinazioni” (“hallucinations”), ossia informazioni false o inventate, attribuite in modo errato al New York Times con il rischio concreto di danneggiarne la reputazione e di ingannare gli utenti presentando come verità contenuti che non esistono.

Secondo il Times, l’uso non autorizzato dei suoi materiali compromette la fiducia dei lettori, devasta il valore commerciale dell’informazione originale e mina le fondamenta economiche su cui si regge il giornalismo professionale.

Perché la causa riguarda anche il modello di business di Perplexity

In pratica, Perplexity non proponeva solo una funzione di ricerca o aggregazione: offriva e offre un prodotto commerciale che, secondo il Times, sostituisce il giornale stesso. Gli utenti non si limitavano ad avere un link verso un articolo: ricevevano l’articolo, o un suo riassunto dettagliato, direttamente nella chat o nell’interfaccia dell’assistente, riducendo la necessità di visitare il sito originale, iscriversi o pagare.

Il giornale denuncia pertanto una sottrazione di traffico, di lettori e di conseguenza di entrate relative a abbonamenti, pubblicità e licenze affiliate. Il timore è che l’uso indiscriminato di contenuti protetti da copyright per alimentare AI sostitutiva non solo metta a rischio la sostenibilità economica delle redazioni, ma eroda nel tempo l’intero ecosistema dell’informazione giornalistica.

Perplexity risponde: “Non è una novità, media e tecnologia si scontrano da sempre”

La reazione di Perplexity tramite il suo responsabile delle comunicazioni, Jesse Dwyer è netta: secondo lui, quella del New York Times sarebbe solo l’ennesima di una lunga serie di azioni legali intentate ogni volta che una nuova tecnologia minaccia il modello consolidato dei media. “Per fortuna ha detto non ha mai funzionato: altrimenti oggi parleremmo di tutto questo via telegrafo”.

Perplexity sostiene che non sta “allenando” modelli di intelligenza artificiale con i contenuti protetti, ma piuttosto indicizza pagine web pubblicamente accessibili per fornire fatti e citazioni affidabili quando un utente fa una domanda. In sostanza, secondo l’azienda, si tratterebbe di un uso lecito, simile a quello di un motore di ricerca, non di una violazione del copyright.

In più, Perplexity aveva già lanciato in passato un “Publishers’ Program”, offrendo una condivisione dei ricavi pubblicitari con gli editori, nella speranza di creare un modello più collaborativo e sostenibile.

Contesto più ampio: non è solo una battaglia isolata

La causa del New York Times è l’ultimo atto di una guerra in corso tra media tradizionali e società di tecnologia che fanno leva sull’AI. Alcuni esempi recenti mostrano come molte testate abbiano già intrapreso azioni legali simili: nelle ultime settimane anche Chicago Tribune ha fatto causa a Perplexity per motivi analoghi.

Questa dinamica si inserisce in un panorama più vasto, in cui editori storici si trovano a scegliere tra il rischio di perdere traffico e revenue se l’AI distribuisce contenuti senza ricondurre gli utenti ai siti originali oppure l’opportunità di trattare accordi di licensing per trasformare l’intelligenza artificiale in un canale legittimo di distribuzione. Del resto lo stesso New York Times, in passato, ha avviato contatti con società di AI per accordi di licenza, riconoscendo che l’AI è destinata a trasformare il modo in cui l’informazione viene consumata.

Si tratta, in ultima analisi, di una questione fondamentale per il futuro del giornalismo: se l’informazione originale non viene compensata, come garantirne la qualità, la diversità e l’indipendenza?

Cosa chiede il New York Times al tribunale: risarcimento e blocco dell’utilizzo

Nella causa, il New York Times non chiede solo un risarcimento per i danni economici subiti: chiede anche un’ingiunzione che ordini a Perplexity di cessare immediatamente l’uso dei contenuti protetti, rimuovere ogni articolo del quotidiano dai suoi sistemi e bloccare la distribuzione di risposte derivate da quei contenuti.

In altre parole, la testata mira a impedire che l’uso non autorizzato del suo archivio si ripeta, rivendicando il diritto esclusivo sui propri contenuti e stabilendo che l’AI non possa diventare un canale di sostituzione senza consenso.

Perché questa causa è un punto di svolta per l’AI e il giornalismo

Questo scontro fra New York Times e Perplexity potrebbe diventare una pietra miliare nella regolamentazione di come le tecnologie di AI accedono, usano e riproducono contenuti editoriali. Se il tribunale darà ragione al giornale, si potrebbe stabilire un precedente che costringerà tutte le startup e le grandi aziende AI a negoziare licenze, compensi o royalty con gli editori in cambio di contenuti.

Ma al tempo stesso la causa riporta al centro un dibattito etico e culturale: fino a che punto l’uso di contenuti protetti per alimentare modelli AI e assistenti digitali può essere considerato “giusto” o “legale”? È un invito a ripensare il valore dell’informazione giornalistica, del lavoro dei giornalisti, e del modo in cui l’informazione viene distribuita e monetizzata nell’era dell’intelligenza artificiale.

Conclusione: un bivio per l’informazione nell’era dell’AI

La battaglia legale tra New York Times e Perplexity non è solo uno scontro fra un grande quotidiano e una startup ambiziosa. È un segnale di quanto il mondo dell’informazione e del giornalismo sia profondamente cambiato e di quante sfide urgenti debba affrontare nel confronto con le nuove tecnologie. Se la corte darà ragione al Times, la moda delle AI “risponditrici” basate su contenuti protetti potrebbe subire un duro colpo. Se invece sarà respinta, potremmo veder prevalere un modello in cui le news vengono amplificate, replicate, distribuite senza controllo e senza compensi con conseguenze potenzialmente gravi per la sostenibilità del giornalismo.

In ogni caso, la causa segna un momento cruciale di riflessione: le testate non sono solo contenuti da consumare gratuitamente, ma patrimoni di lavoro, inchieste, verifiche, storie e come tali meritano protezione, riconoscimento e rispetto. L’AI può essere uno strumento potente, ma non può diventare un passaporto per cancellare diritti e fatica intellettuale.

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